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La Leggenda di Giselda (Clicca e guarda la La Leggenda di Giselda)
Come ogni castello che si rispetti anche questo di Naro ha i suoi ricordi di sangue e di delitti. Un'antica leggenda narra di Madonna Giselda, la castellana dalle chiome nere e dagli occhi azzurri, che innamoratasi del proprio paggio Beltrando ebbe un tragico destino. In una notte di luna piena, mentre Beltrando le cantava sulla terrazza il suo amore, accompagnandosi con le dolci note del liuto, furono sorpresi dal geloso marito, Pietro Giovanni Calvello allora Signore di Naro:...
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Silenti nubi che nel ciel vagante, bianche come barchette in alto mare, a quel meta ne tende il vostro andare, lontano, lontano, e dal ra oggi, nelle notti chiare d'autunno un bianco fantasma di donna vaga sulla terrazza del castello: è madonna Giselda alla ricerca dell'amato Beltrando. E quando si siede nel vano di una merlatura a contemplare il creato, un usignolo sale dai sottostanti giardini e, fattele appresso, con melodiosi gorgheggi canta una struggente e dolorosa canzone. E la gente, ricordando questa tragica storia d'amore con commossa fantasia, narra ancora oggi di un bianco fantasma di donna, che nelle notti chiare di luna, vaga perdutamente sugli spalti del castello alla ricerca dell'amato Bertraldo. e) S. Pitruzzella, Don Diego Calafato, Palermo 1956, pag. 171 e ss. dalle chiome nere e dagli occhi azzurri, che innamoratasi del proprio paggio Beltrando ebbe un tragico destino. In una notte di luna piena, mentre Beltrando le cantava sulla terrazza il suo amore, accompagnandosi con le dolci note del liuto, furono sorpresi dal geloso marito, Pietro Giovanni Calvello allora Signore di Naro: Silenti nubi che nel ciel vagante, bianche come barchette in alto mare, a quel meta ne tende il vostro andare, lontano, lontano, e dal zefero portate? Squallido tutt'intorno è l'immenso, romito il colle e triste la paura, che mette all'alma un senso di paura. Il picciol fiume scorre terso terso, e i rai riflette de la fredda luna che in alto e fra le stelle guarda e tace Il mondo senza speme e senza pace, cadono scialbe le foglie ad un ad una, lente ed avvizzite giù nella foresta. Così … l'uman vita passa mesta… (e) Il giovane paggio fu ucciso e gettato dall'alto della torre. Giselda, richiusa in una fredda e buia cella, si lasciò morire di fame e di dolore. Dice la leggenda che, ancora oggi, nelle notti chiare d'autunno un bianco fantasma di donna vaga sulla terrazza del castello: è madonna Giselda alla ricerca dell'amato Beltrando. E quando si siede nel vano di una merlatura a contemplare il creato, un usignolo sale dai sottostanti giardini e, fattele appresso, con melodiosi gorgheggi canta una struggente e dolorosa canzone. E la gente, ricordando questa tragica storia d'amore con commossa fantasia, narra ancora oggi di un bianco fantasma di donna, che nelle notti chiare di luna, vaga perdutamente sugli spalti del castello alla ricerca dell'amato Bertraldo. e) S. Pitruzzella, Don Diego Calafato, Palermo 1956, pag. 171 e ss.

La donzella e Marcantonio

Ci sCi sono alcune leggende legate al quartiere ebraico, che a Naro constava di una comunità di alcune centinaia di persone (circa 806), retta da sei Proti (magistrati) e con una scuola propria dove si insegnava lettere ebraiche, dedita al commercio, alla lavorazione del ferro, al prestito ad interesse e che doveva pulire, una volta al mese, le sale del castello. Una di queste leggende ci viene tramandata dal Prof. to di mura che dall'antico Duomo andava alla Porta Vecchia, nel punto indicato con la lettera B (demominato dal popolino U Pirtusiddru) nell'unita pianta topografica, esiste una grotta al di sotto del piano di terra e, vicino a questa, nel punto indicato con la lettera C, sino a pochi anni addietro si vedeva un piedistallo in muratura, con sopra una croce di legno. Fra il popolino si perpetua ancora una leggenda che, la sera prima delle nozze (a sirata) di una donzella, durante la festa propiziatoria alle nozze, si sia presentato colà, come venuto dal nulla, uno sconosciuto, vestito di nero, con un gran mantello, pure nero, dalle cui falde usciva una lunga coda, il quale appena vide la bella donzella, facendosi largo tra gli invitati, disse: Sono marcantò, piglio la sposa con presunziò! Dicendo queste parole, avvinse con le spire della coda la donzella ed attraverso un viottolo fuggendo, fra lo stupore dei presenti, entrò in una grotta nelle vicinanze ed, attraverso un cunicolo segreto, sprofondò nelle viscere della terra con la sua bella preda. A nulla valsero le ricerche dei congiunti, non era rimasta alcuna traccia della donzella e di Marcantonio, erano come svaniti nel nulla. È opinione che colà si celebrasse il culto a Persefone e che il Marcantonio non sia altro che Plutone, in latino, Ade in greco e la donzella Persefone in greco, Proserpina in latino, dea della Primavera. La croce venne messa in quel luogo a scongiuro delle divinità pagane. (cfr. Cav. dott. Giuseppe Mendola, La Siciliana, rivista di storia, Folklore ed archeologica, nr. 3 e 4 del 1928, Siracusa).

La campana dei sette anni
La leggenda narra che un vecchio nobile decaduto nella notte di Natale del 1174 venne coinvolto in un itinerario magico che lo portò al ritrovamento di una grande quantità di diamanti e pietre preziose in una grotta della serra del Furore. Non contento dei tesori trovati volle ripetere la magia senza la presenza del mago che lo aveva introdotto nei misteriosi segreti della grotta, nella quale riuscì ad entrare per la seconda volta. Ma per la dimenticanza di una formula magica l’incantesimo s’infranse, sulla bocca della caverna rotolò il gran masso che la chiudeva, imprigionando il nobile Basco ed il suo fedele Ermanno, i quali vagarono a lungo per trovare la via d’uscita, ma invano. Brancolando nel buio Blasco s’in una campana gigantesca, la quale battuta disperatamente da Blasco, emise suoni cupi e prolungati: don…don…don…, che,ogni sette anni, alla vigilia di Natale, a mezzanotte, si diffondono tra i boschi e le rocce della Serra del furore.

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